XXXIII Canto Inferno
Ci troviamo nel nono cerchio che è quello dei traditori. E’ diviso in 4 zone in base al tipo di tradimento.
1: Caina, traditori dei parenti
2: Antenora, traditori della patria
3: Tolomea, traditori degli ospiti
4: Giudecca, traditori dei benefattori
Essendo un lago ghiacciato è chiaro che la pena ha a che fare con il ghiaccio. Tutte le anime sono bloccate all’interno del ghiaccio, quello che le differenzia è la diversa posizione della testa.
Le anime che si trovano nella prima e nella seconda zona (Ugolino è nella seconda) hanno la testa fuori dal ghiaccio. Quelli nella prima zona possono tenere il volto verso il basso, mentre quelli nella seconda sono costretti a tenere il volto verso l’alto.
Più si va avanti nell’Inferno, più i peccati si fanno gravi e più le pene sono terribili. Quindi intuiamo che stare con la testa rivolta verso l’alto sia una pena peggiore che tenerla volta verso il basso. Ma perché? Le anime piangono, per la sofferenza che provano ma anche per sfogare l’odio che hanno dentro di sé. Quando escono, le lacrime si ghiacciano immediatamente. Per cui comprimono l’occhio a coloro che guardano verso l’alto, impedendo alle altre lacrime di uscire e causando un ulteriore dolore a quello che già hanno.
Il vento che fa ghiacciare le lacrime è quello provocato dallo sbattere delle ali di Lucifero.
Contrappasso: così come quando sulla terra vivevano con un cuore freddo, gelido e hanno premeditato il tradimento perpetrato, così ora sono costretti nel ghiaccio per l’eternità.
Il conte Ugolino compare nel canto precedente quando Dante vede un’anima che morde violentemente il cranio di un’altra. Si chiudeva così il canto e per questo ricomincia in questo modo apparentemente incomprensibile.
Ugolino della Gherardesca, antenato del famoso Costantino della Gherardesca, era un pisano che durante le varie lotte fu accusato di tradimento. L’accusa gli arrivò mentre lui era fuori Pisa per motivi istituzionali. Pare che l’arcivescovo Ruggieri (l’anima che sta mordendo) abbia finto di richiamarlo a Pisa per una riappacificazione della sua famiglia (di Ugolino) con quella degli avversari. Lui abbocca e non appena arriva, lo arrestano e lo mettono nella torre della Muda. E’ soprannominata così perché su quella torre andavano le aquile a mudare (= cambiare le penne). Dopo l’avventura di Ugolino diventerà la torre della Fame.
v. 1 “Fiero pasto” = pasto feroce, orribile
v. 2 “Peccator” = Ugolino / “Forbendola a’ capelli” = pulendola dai capelli del capo di Ruggieri. E’ un’immagine davvero tribale (accezione negativa). Ugolino si pulisce la bocca dalla zozzura di questo pasto, come gli animali.
Noi dimentichiamo sistematicamente che stiamo parlando di anime perché Dante ci dà sempre quest’idea di corporeità fisica che in realtà non c’è.
Adesso Ugolino inizia a parlare e a raccontare della sua vicenda. La storia di Ugolino è contemporanea a Dante e ha fatto il giro di tutta la Toscana se non di più. Dante quindi conosceva sicuramente questa storia, che era talmente terribile che davvero era conosciuta da tutti, come quella di Paolo e Francesca. Ugolino capisce che Dante è toscano e quindi dà per scontato che lui conosca la vicenda. Quello che nessuno può sapere (e che Dante inventa in questo canto) è quello che è successo dentro la torre dove nessuno è stato.
Dante volontariamente, per rendere la cosa più tragica, trasforma questa storia. Ugolino infatti quando fu arrestato, venne chiuso nella torre a morire di fame insieme a due figli e a due nipoti, figli di due fratelli. Dante li fa diventare 4 figli. Lo strazio dei genitori che vedono morire i figli è infatti maggiore dello strazio degli zii nei confronti dei nipoti.
v. 6 “Già pur pensando” = già solo a pensarci
Le parole iniziali di Ugolino richiamano il secondo libro dell’Eneide, quando Didone chiede a Enea di raccontare le vicende di Troia. Però la differenza che c’è tra questo e quello è che Virgilio è solenne, aulico. Qui Dante è assolutamente drammatico, tragico e sta per raccontare una vicenda di una violenza inaudita.
v. 7,8,9 Metafora per cui le parole di Ugolino sono il seme da cui nascerà il frutto (=l’infamia per Ruggieri, che Ugolino si augura Dante porti sulla terra)
v. 9 “Parlare e lagrimar” = parlare e piangere, ricorda Paolo e Francesca.
Se lui parla e piange vuol dire che a lui le lacrime non si congelano! E’ uno di quei privilegi che Dante concede a qualche anima. Non sappiamo se questa concessione duri solo tanto quanto il discorso con Dante. Oppure se Ugolino abbia questo privilegio rispetto alle altre anime per sempre. Il privilegio di Paolo e Francesca di stare mano nella mano invece è sicuramente eterno, nel senso che sono già in quella posizione in lontananza, ancora prima di parlare con Dante. Nel caso di Ugolino non sappiamo dire se sia una situazione eterna oppure temporanea.
Ugolino a differenza di altre anime non è curioso di sapere chi è Dante e nemmeno come sia arrivato fino a lì. Perché più si scende nell’Inferno più le colpe sono gravi e meno le anime hanno voglia di essere ricordate, riconosciute ecc. e soprattutto Ugolino ha dentro di sé un nodo talmente tale che la sua vita eterna ha un unico scopo, quello di riuscire a infamare sulla terra Ruggieri e dare minimo sfogo al nodo che lo accompagnerà per l’eternità. In conclusione, l’unica cosa che gli interessa è che il racconto venga riportato sulla terra, a prescindere da chi sarà la persona che lo farà.
v. 15 “Tal vicino” = così pericolosamente vicino
v. 16 “Per l’effetto” = a causa / “Mai” = perversi, cattivi / “Pensieri” = progetti
v. 17 “Fidandomi di lui” = fidandosi di Ruggieri
v. 18 “Dir non è mestieri” = non occorre che te lo dica. Ribadisce il fatto che se sei fiorentino non puoi non conoscere la vicenda.
v. 20 “Cruda” = crudele
v. 21 “S’e’ m’ha offeso” = quanto quest’uomo mi abbia offeso
Il protagonista di questa storia non è Ugolino e nemmeno i 4 poveri ragazzini, ma è il silenzio. Nel senso che noi vedremo i fatti che Ugolino ci narra intervallati da momenti di silenzio che possono durare anche 1 giorno o 2 giorni interi. Il silenzio non è uno ricercato, per stare in tranquillità, ma è il silenzio opprimente per non dire cose che ci fanno paura. Anche se sembra un ossimoro (è strano infatti che non siano invece protagonisti i discorsi o le parole), i silenzi saranno la parte essenziale del racconto.
v. 22 “Breve pertugio” = finestrella molto piccola / “La Muda” = la torre dei Gualandi
v. 23 “Per me” = a causa mia, dopo la mia vicenda / “Titol” = nome
v. 24 “Conviene” = sarebbe cosa giusta / “Ch’altrui si chiuda” = che non venisse più usata con qualcun altro per questo scopo
v. 25 “Per lo suo forame” = attraverso la sua apertura
v. 26 “Più lune già” = vuol dire che erano già diversi mesi che Ugolino e i suoi “figli” erano stati imprigionati. Era l’unico modo per calcolare il passare del tempo / “Mal sonno” = incubo
v. 27 “Del futuro mi squarciò ‘l velame” = fu squarciato il velo del futuro. Come nel teatrino di carta di Pirandello, chi vive sulla scena considera quella finzione come la realtà, ma se si squarcia il cielo di carta, improvvisamente quelle marionette entrano in crisi perché non c’è più la loro realtà e non sanno cosa ci sia oltre quel cielo squarciato. Così improvvisamente si crea un pertugio nel velo del futuro di Ugolino e lui vede un futuro orribile. Capiamo che questo incubo si verificherà perché ne parla come se fosse assolutamente certo. Ugolino sogna la realtà in senso metaforico: una caccia in cui i protagonisti sono Ruggieri e i suoi scagnozzi che cacciano Ugolino e i figli.
v. 28 “Questi” = Ruggieri / “Maestro” = guida / “Donno” = capo, comandante, signore. E’ una contrazione di dominus, da cui discende il nostro donna. Ora donno si usa solo per i preti e soprattutto nel meridione si usa/usava per indicare persone importanti
v. 28 “Lupo e’ lupicini” = Ugolino e i figli / “Al monte” = verso il monte
v. 30 Qui notiamo la precisione geografica di cui fa uso Dante. Esiste infatti davvero un monte che impedisce ai pisani di vedere Lucca: il monte di San Giuliano.
v. 31 “Cagne magre” = magre quindi anche cattive perché hanno fame / “Studiose” = ben valide / “Conte” = esperte
v. 32 “Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi” = 3 importantissime famiglie pisane ghibelline che Ruggieri aveva messo contro la famiglia della Gherardesca
v. 34 “In picciol corso” = dopo una breve corsa
v. 35 Quelli che prima aveva chiamato lupi e lupicini ora li chiama padre e figli; è una continua trasposizione tra sogno e realtà.
v. 36 “Mi parea lor veder fender li fianchi” = gli pareva vedere i loro fianchi azzannati dai cani / Finisce l’incubo
v. 37 “Fui desto innanzi la dimane” = si svegliò ancora prima dell’alba
v. 38,39 I figli sognavano di aver fame e fanno un incubo anche loro. E’ segno di realtà per Ugolino. Infatti non può essere una coincidenza che sia lui che i figli facciano lo stesso incubo
v. 42 Se Dante non piange per una cosa di questo genere, per cos’altro potrebbe piangere di peggio?
v. 40,41,42 Raccontare una tragedia è sempre terribile, ma se la tragedia è riguarda te stesso è ancora peggio. Quindi Ugolino lo fa per la prima volta ma lo farà ancora, di interrompere il racconto con delle apostrofi rivolte a Dante, per sfogare il suo dolore. Subito dopo riprende il racconto
v. 43 “Eran desti” = si erano svegliati
v. 45 “E per suo sogno ciascun dubitava” = ognuno, per il sogno che aveva fatto, dubitava che sarebbe stato portato il cibo
v. 46 “Chiavar” = significa chiudere a chiave ma qui dobbiamo dargli un’altra interpretazione. Non possiamo pensare che siano stati semplicemente chiusi a chiave. E’ forse meglio pensare che loro non sentivano il rumore di una serratura chiusa, ma di chiodi martellati che bloccavano quella porta d’accesso. Quindi “chiavar” = inchiodare
v. 47 “Orribile torre” = è orribile perché una torre di morte
v. 48 “Sanza far motto” = senza parlare. E come fa un padre a dire a un figlio che moriranno lì? Sa che qualsiasi parola sarebbe stata inopportuna o inappropriata. Ha un dolore talmente grande che gela e non piange neanche. Tutto quello che prova però lo si vede nel suo volto e nei suoi occhi
v. 49 “Impetrai” = diventò di pietra
Noi non sappiamo la successione della morte di questi 4 ragazzi ma siccome Dante deve continuare a rendere tragica questa tragedia, comincia dal più piccolo, Anselmuccio. Questa scelta fa decisamente più effetto.
v. 51 “Tu guardi sì, padre! che hai?” = padre, perché ci guardi in questo modo?
v. 52,53,54 Non risponde al figlio perché non ce l’avrebbe fatta, quindi decide di non parlare per tutto il giorno e la notte seguente, fino al sole del giorno dopo. Questo è il primo grande silenzio della vicenda
v. 57,58 Vedere se stesso in quei visi lo fa compiere un gesto istintivo che i figli interpreteranno male. Fa questo gesto per sfogare l’angoscia che aveva e i figli credono che lo faccia perché ha fame.
v. 60 “Manicar” = mangiare / “Levorsi” = si alzarono in piedi
v. 62,63 “Tu te ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia” = poichè tu ci hai vestito di queste misere carni, tu ce le puoi togliere
v. 65 “Lo dì e l’altro stemmo tutti muti” = per altri due giorni stanno muti. Secondo grande silenzio
v. 66 “Ahi dura terra, perché non t’apristi?” = Ugolino fa un’altra apostrofe per tirare fiato. Dice che in quel momento avrebbe voluto sprofondare nella terra ed essere inghiottito
v. 67 “Quarto dì” = il quarto giorno dalla chiusura della porta
v. 68 “Gaddo” = un altro figlio
I tempi sono un po’ accelerati rispetto alla realtà. Un uomo dopo 4 giorni che non mangia e non beve dovrebbe ancora resistere, ma non ha importanza qui il dato scientifico.
v. 71 “Cascar” = ricorda il “cadde come corpo morto cadde” nel canto di Paolo e Francesca
v. 73 “Cieco” = accecato dalla fame e dal dolore / “Brancolar” = come le bestie, si muove in modo animalesco sopra i corpi morti dei figli
v. 75 “Più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno” = è pazzesco che Ugolino sia stato ucciso dalla fame e non dal dolore inumano che ha provato per la morte dei figli. Questo fatto gli provoca ulteriormente dolore
E’ finito il racconto e come se nulla fosse ricomincia un’altra volta a mangiare la testa di Ruggieri.
v. 76 “Torti” = pieni d’odio
v. 77 “Misero” = disgraziato
v. 78 “Che furo a l’osso, come d’un can, forti” = furono nell’addentare l’osso, forti come i denti dei cani
Da qui inizia l’invettiva contro Pisa che è famosissima perché Dante vorrebbe vedere annegare tutti i pisani. Ma con uno stratagemma che coinvolge il fiume Arno e i due isolotti davanti alla foce.
v. 79 “Vituperio” = vergogna
v. 80 “Del bel paese là dove ‘l sì suona” = ampia perifrasi per indicare l’Italia, dove si parla il volgare del sì
v. 82 “La Capraia e la Gorgona” = sono gli isolotti
v. 81,82 Poiché le città che stanno vicino a Pisa sono lente nel punirla, si possano muovere Capraia e Gorgona e costituiscano uno sbarramento alla foce dell’Arno così che il fiume, tornando indietro, anneghi Pisa e ogni abitante
v. 85 “Che se ‘l” = Dante ha seri dubbi sul tradimento di Ugolino quindi non può dire sicuramente che sia colpevole o innocente / “Aveva voce” = girava una voce, non una certezza!
v. 87 “Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce” = non dovevi tu (Pisa) dare lo stesso supplizio ai suoi figli (di Ugolino)
v. 89 “Novella Tebe” = Tebe era un città dell’antica Grecia che aveva la fama delle lotte fratricide che avevano sempre insanguinato la città (le due fiamme del 26esimo canto) / “Uguiccione e ‘l Brigata e li altri due” = i figli
v. 91 Passano da una zona ad un’altra con passaggi rapidi. Ora si trovano nella terza / “Gelata” = distesa di ghiaccio
v. 92 “Un’altra gente” = altre anime
v. 93 “Non volta in giù, ma tutta riversata” = non immersi con il volto in giù ma supini, distesi
Al tormento si aggiunge un altro tormento: il ghiaccio che comprime il loro corpo e le lacrime negli occhi.
v. 95 “Duol” = lacrime
v. 96 “Ambascia” = dolore
v. 97 “Groppo” = grumo
v. 99 “Coppo” = cavità oculare
v. 100,101,102 Dante fa un esempio di se stesso. Come accade per un callo che si causa per freddo, ogni suo sentimento aveva cessato di dimorare sul suo viso, si era pietrificato per il freddo.
v. 101 “Alquanto vento” = il vento? La cosa sorprende Dante, perché nell’Inferno non ci possono essere fenomeni atmosferici
v. 104 “Questo chi move?” = chi è che provoca questo vento? Ha fatto la stessa domanda per la bufera di Paolo e Francesca
v. 106 “Avaccio” = tra poco
v. 107 “Ti farà l’occhio” = potrai vedere con i tuoi occhi
v. 108 “‘l fiato piove” = il vento che piove dall’alto
v. 109 “Tristi” = anime / “De la fredda crosta” = dalla superficie del ghiaccio
v. 111 “Ultima posta” = sede ultima, Cocito
v. 112,113,114 L’anima pensa che Dante e Virgilio siano stati condannati anche loro all’ultima Zona, la Giudecca
v. 115 “Sovvegna” = aiuti
v. 116 “Disbrigo” = libero
v. 117 “Al fondo de la ghiaccia ir mi convegna” = che mi tocchi andare fino a infondo all’Inferno
In realtà Dante sta dicendo la verità perché lui dovrà davvero arrivare fino a in fondo all’Inferno!
Sarebbe un’offesa a Dio aiutare l’anima quindi Dante dice questa “mezza” bugia.
v. 118 Alberigo viene ricordato per il fatto che ha finto di voler far pace con i parenti, li ha invitati a pranzo per un bel banchetto, tutti ci hanno creduto e quando poi lui ha fatto portare la frutta gli portano le armi e ammazza tutti.
v. 119 “Le frutta del mal orto” = i frutti cresciuti nell’orto del male
v. 120 “Dattero per figo” = come dire pan per focaccia. Il dattero è ritenuto più prelibato
v. 121 “Ancor” = già / Frate Alberigo in realtà per Dante è ancora vivo. Per questo è così stupito
v. 122,123 “Come ‘l mio corpo stea nel mondo sù, nulla scienza porto” = non so assolutamente come il mio corpo stia lassù sulla terra.
v. 124 La Tolomea (zona in cui si trovano) deriva per alcuni da Tolomeo, uccisore di Pompeo. Ma forse ancora meglio pensare a quel Tolomeo che nella Bibbia aveva ucciso i suoi figli dopo avergli fatto un banchetto. E’ una storia comune quella del banchetto
v. 126 “Atropos mossa le dea” = prima che Antropos, la Parca della morte, l’abbia spinta a cadere
v. 127 “Rade” = tolga
v. 131 “Il governa” = sta in quel corpo
v. 133 “Ruina” = rovina / “Cisterna” = pozzo
v. 134 “Suso” = sulla terra
v. 136 Immagina che Dante lo sappia se sia vivo o morto
v. 137 Indica Branca Doria. I Doria erano famosissima famiglia genovese, antichissima. Frate Alberigo non è mica l’unico che si trova lì! Branca Doria sta in quella zona da un sacco di anni in più di lui.
v. 139 Secondo Dante l’anima sta mentendo perché Branca Doria è ancora vivo
v. 144 “Michel Zanche” = suocero di Branca Doria, barattiere
v. 146 “Prossimano” = parente
v. 151 Invettiva contro i Genovesi
v. 154 “Spirto di Romagna” = Frate Alberigo
v. 154 “Voi” = Branca Doria