XIII Canto Inferno

09.03.2015 14:57

Introduzione:

Ci troviamo nel settimo cerchio che è suddiviso in 3 gironi. Qui si trovano i violenti che a seconda del tipo di violenza commessa appartengono a un girone piuttosto che ad un altro. Il primo è quello dei violenti contro il prossimo, il secondo verso se stessi e il terzo verso Dio e la natura. Noi siamo nel secondo girone, dove incontriamo i suicidi.

Pena: essere trasformati in piante, arbusti selvatici, spinosi, rami nodosi e contorti. La tragicità della situazione sta nel fatto che gli sia stata lasciata la facoltà di pensare. Sono quindi piante pensanti e parlanti che si rendono perfettamente conto della loro situazione inferiore e miserevole, senza alcuna possibilità di poter cambiare.

Contrappasso: siccome in vita hanno rifiutato il loro corpo, ora sono trasformati in un altro corpo di natura inferiore. Le piante infatti, in una gerarchia, sono al di sotto all'uomo. Essi si riapproprieranno del loro corpo solo nel giorno del giudizio e lo appenderanno sulla pianta in cui sono stati trasformati.

Nell'Inferno ci sono due tipi di anime. Quelle che approfittano di Dante perchè una volta tornato nei vivi possa parlare di loro in modo positivo e quelle che invece vietano a Dante di parlare di loro (nei gironi più bassi). I suicidi sono desiderosi di essere ricordati.

Le prime 3 terzine iniziano con l'anafora di una negazione. La prima terzina è di carattere narrativo che per un verso si collega al canto precedente e per l'altro introduce nel nuovo ambiente e nella nuova situazione. La seconda sviluppa ed espone quello che aveva anticipato la prima. La terza espone un paragone con un luogo della terra (la Maremma) conosciuto dai lettori, che gli serve per rendere l'idea di dove si trova. 

v. 1   "Nesso" = era un centauro nella mitologia che aveva concluso il canto precedente / "Di là" = al di là del fiume che separa il primo con il secondo girone del VII cerchio

v. 1,2,3   Il "non" iniziale, il "neun" e l'allitterazione della s creano una scena cupa, buia

v. 4   "Fosco" = scuro

v. 6   Non vi erano frutti ma spine con veleno / "Tòsco" = parola toscana medievale, sostanza velenosa

v. 7,8,9   Il paragone viene fatto con quelle zone che si trovano tra Cecina e Corneto (in Maremma) in cui c'è una presenza umana, che non hanno sterpi così aspri e così folti come quelli che vede Dante davanti a sè. Quindi la Maremma (che al tempo era una zona paludosa) non è così male come bosco rispetto a quello dell'Inferno

v. 10   "Arpie" = figure mitologiche, figlie di Taumante e di Elettra. Sono degli avvoltoi con la testa da donna. Prende lo spunto per inserire le Arpie, dal terzo libro dell'Eneide di Virgilio, dove esse imbrattano il cibo dei troiani / "Brutte" = sozze

v. 12   Si fa cenno a Celeno che annunciò ai compagni troiani delle grandi sventure future

v. 13   "Late" = molto grandi

v. 14   "Piè con artigli": antropomorfizzazione

v. 15   "Lamenti" è da collegare alla parola "strani", per questo è un iperbato

v. 19   "Sabbione" = deserto del terzo girone su cui piove pioggia di fuoco

v. 20   "Però riguarda ben" = perciò fai bene attenzione

v. 22   "Guai" = lamenti

v. 25   Verso che vuole sottolineare lo stile elevato che si sta per introdurre con la vicenda di queste anime e di Pier delle Vigne

v. 26,27   Dante pensa che quei gemiti provenissero da gente che si tesse nascondendo tra quegli alberi

v. 33   "Schiante" = strappi. Dante prende ancora spunto dall'Eneide, in particolare dal passo di Polidoro. Il legame tra Dante e Virgilio nella similarità della situazione è molto lieve però. Esso infatti si limita solo alla coincidenza del fatto che strappando un ramo ci sia qualcuno che parla, l'atmosfera e la finalità sono molto diversi

v. 37   "Uomini fummo, e or siam fatti sterpi": chiasmo

v. 38   "Pia" = non ha nessun senso religioso di compartecipazione nei loro confronti! Ha questo significato anche il "pietade" nel v. 36

v. 39   Il serpente è per antonomasia l'animale più schifoso. Ciò che lo differenzia da qualsiasi altro animale è che come tutti i rettili, striscia. Non ha piedi o zampe ed è a contatto con la terra non per amore di essa, ma perchè non ha altro modo di muoversi. Anche da un punto di vista religioso il serpente è malvagio perchè è colui che ha persuaso Adamo ed Eva.

v. 40,41,42   Dante ama passare da un discorso di fantasia a uno reale e introduce un'altra similitudine: come un tronco verde quando gli si dà fuoco da uno dei due capi, dall'altra parte emette un gemito e cigola (non perchè è secco, ma perchè è umido), allo stesso modo dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue

v. 48   "La mia rima": sineddoche

v. 54   "Li lece" = gli è lecito tornare

v. 55   "Adeschi" = alletti, tenti. Verbo che si collega con quello due versi dopo "inveschi" = catturare qualcuno con una trappola coperta di vischio, metodo minatorio del medioevo con cui si cacciava. I due verbi rappresentano una paronomasia

v. 56   "Non gravi": litote

v. 58   "Ambo le chiavi" = entrambe le chiavi, quella che apre e quella che chiude 

v. 61   "Secreto suo" = intimità

Pier della Vigna era il maggior consigliere e collaboratore di Federico II, non che gran cacciatore e addirittura autore di un trattato. Egli nacque a Capua, in Campania. Studiò legge a Bologna e si trasferì come notaio alla corte di Federico II. E' una persona di grande lealtà, serietà, bonarietà e vigore diventando primo ministro dell'imperatore. Passano anni di grande collaborazione ma, come era tipico delle corti, l'esclusivo rapporto creato tra i due crea l'invidia (una delle 3 faville) dei cortigiani che iniziarono a diffondere in giro voci strane. Queste, alla lunga, portarono Federico II ad accusare Pier Della Vigna di aver complottato contro di lui. Lo fece arrestare ed imprigionare a Pisa dove si toglie la vita. 

v. 62   "Glorioso offizio" = servire l'imperatore

v. 63   "Li sonni" = perde il sonno per aver lavorato accanitamente e poi a causa del pensiero delle chiacchiere

v. 63   "Polsi" = la vita

v. 64   "La meretrice che mai da l'ospizio di Cesare non torse li occhi putti": perifrasi per indicare l'invidia: che non toglie mai gli occhi dalla corte imperiale

v. 66   "Morte" = rovina 

v. 67,68   "Infiammò... 'nfiammati infiammar": ricorda come figura retorica il verso "Cred'io ch'ei credette ch'io credesse". Essa non ha un nome. E' un artificio retorico che si basa su quello che oggi chiamiamo gioco di parole. E' costituito dall'insieme di poliptoto, assonanza, paronomasia, allitterazione

v. 69   "Lieti onor...tristi lutti": antitesi

v. 70   "Disdegnoso gusto": ossimoro

v. 72   "Giusto" = innocente

v. 73   "Nove" = può signficare recente (non era passato molto tempo infatti dalla morte di Pier della Vigna). Oppure può essere anche un latinismo, quindi significare strane, inconsuete / "Legno": metonimia

v. 76   "Riede" = ritorna

v. 77   "Conforti la memoria mia" = parli positivamente di me

v. 84   "Pietà" = la stessa pietà che Dante provò per Paolo e Francesca: non giustifica ma compartecipa emotivamente

v. 89   "Nocchi" = tronchi

v. 90   "Si spiega" = si libera

v. 90,91   Questi due versi sottolineano la difficoltà che prova l'anima nel parlare di queste cose

v. 94   "Anima feroce" = non per natura, ma quando il suicida la separa violentemente dal corpo

v. 98   Cade come una freccia scagliata dalla balestra laddove la "fortuna" = sorte la getta

v. 102   "Fenestra" = ferita

v. 103   Durante il giorno del giudizio

v. 108   "Molesta" = dannata

 

Ci siamo fermati al verso 108 e non bisogna studiare avanti.